(…) Patrizia Comand ha creato (…) un affresco grandioso, realizzato con colori acrilici stesi in tenui toni, in una visione ricchissima di rime e di fughe, davanti alla quale l’occhio subito pare perdersi ma poi comprende che, per vedere un’opera come questa, non può passarvi frettolosamente davanti, occorre che vi si immerga. Ciò che noi vediamo può sembrarci la dissoluzione di un mondo, dopo il “big bang” che ne ha fatto esplodere l’unità, proiettando nel cosmo lacerti di situazioni e di personaggi insensati che ora vagano come pianeti ebbri, non più retti dalle leggi di un sistema, nel degradare dal buio di un firmamento ostile a toni in cui la luce irrompe a rivelare le umane miserie.
Ecco stagliarsi l’impossibilità di un ancoraggio terreno, con montagne brulle, inospitali, che si ergono e che sembrano sul punto di crollare nel loro terrazzamenti, quasi che fossero il residuo del vano tentativo umano di piegare la natura e che a me ricordano le zattere spaziali di qualche film di fantascienza; ecco i personaggi abbarbicati a navi chiaramente esito di naufragi avvenuti tanto tempo fa, sulle quali ci si ostina a stare (…). In fondo questo dipinto di Patrizia Comand, mentre si misura con l’antico (le stesse figure femminili create dall’artista paiono collegarsi all’opulenza delle carni dipinte da Rubens), prefigura una disintegrazione incombente, dentro i vizi della società moderna, quasi che la nostra società corra verso una sorta di esplosione cosmica, che proietterà nello spazio chi si illudeva di padroneggiare il mondo.
Del resto, proprio Brant, alla fine del suo poema, dice “ Per cui mi sento a dire autorizzato: Si è il Giorno del Giudizio avvicinato !”
Nel grande dipinto di Patrizia Comand ovunque si respira una visione disincantata degli aspetti del mondo d’oggi, nel quale il corpo viene ostentato e reso strumento di potere, e l’accumulo delle ricchezze è ciò che in fondo conta, con l’artista subito pronta a denunciare le cadute di stile, la volgarità imperante, in un’allegoria impietosa di alcuni aspetti del moderno (pensiamo alla lotta per il potere su una scacchiera in cui le pedine mosse sono le sedie da occupare).
Brant aveva con la sua opera segnato il passaggio tra quel che restava del Medioevo e il nuovo che s’avanzava; ora la Comand ci avverte che siamo forse di fronte a un altro “salto”, a un altro passaggio epocale verso l’ignoto, non esattamente verso quelle “magnifiche sorti e progressive” che già Leopardi ne “La ginestra” sapeva non si sarebbero inverate.
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